una diffusione necessaria?


La controversia procede prendendo in causa la questione dell’aumento incontrollato dell’utilizzo, e delle prescrizioni, dei farmaci psicotropi. Un ruolo estremamente rilevante nel provocare questo fenomeno viene attribuito, da un lato, alle case farmaceutiche e, dall’altro, alle rinnovate edizioni del manuale diagnostico per i disturbi mentali (DSM). Rinnovando il tentativo di fare luce sulla argomento, vediamo i pareri degli esperti.




L’Opinione di Marcia Angell
Ad oggi, la maggior parte degli psichiatri curano esclusivamente attraverso medicinali. Il passaggio progressivo dalla “terapia della parola” ai medicinali come trattamento dominante coincide con l'emergere, negli ultimi 40 anni, della teoria secondo la quale le malattie psichiche sono principalmente causate da degli squilibri psichici che possono essere riassettati da molecole specifiche. Questa dottrina è largamente ammessa, dai media, dall'opinione comune e dalla professione medica, sin dalla messa sul mercato del Prozac come correttivo di un deficit di serotonina nel 1987. Il numero di persone trattate per depressione è triplicato nel corso dei
dieci anni seguenti, e quasi il 10% degli americani con più di 6 anni è attualmente in cura con antidepressivi. L'aumento delle prescrizioni di medicinali per curare le psicosi è ancora più
spettacolare: la nuova generazione di neurolettici come il Risperdal, il Zyprexa e lo Xeroquel è in testa alle vendite di prodotti farmaceutici negli Stati Uniti.
Cosa succede? La prevalenza delle malattie mentali è davvero così elevata, e continua ad aumentare? E se questi disturbi sono determinati alla biologia e non sono il risultato di influenze esteriori, una tale impennata è plausibile? […] E che ne è dei medicinali alla base di questi
trattamenti? Sono efficaci? Se sì, non dovremmo invece veder declinare, e non aumentare,
l'incidenza di queste patologie?
Dopo aver recensito i libri di Kirsh, Whitaker e Carlat in una lunga inchiesta per la New York
Review of Books, Marcia Angell sostiene che “l'industria farmaceutica incita a prescrivere degli
psicotropi anche per categorie dei pazienti per le quali questi medicinali non si sono rivelati
né sicuri né efficaci. L'aumento incredibile di diagnosi e trattamenti psichiatrici nei bambini,
talvolta di soli due anni, dovrebbe essere la fonte principale di inquietudine per gli americani”
afferma. “Questi bambini son talvolta curati con medicinali che non hanno mai ricevuto
autorizzazione per la messa in vendita per la loro fascia di età, e che presentano gravi effetti
collaterali. La prevalenza apparente del “disturbo bipolare giovanile” si è moltiplicata di 45 tra il
1992 e il 2004, mentre quella di “autismo” è passata da affliggere un bambino su 500 a 1 su 90,
nello stesso periodo. Il 10% dei ragazzini di 10 anni prende, oggi, ogni giorno degli stimolanti
per il “deficit di attenzione con iperattività”.” denuncia Marcia.


La risposta di Jhon Oldham
Presidente dell'APA (American Psychological Association)
Secondo Oldham, contrariamente a quanto il lavoro di Marcia Angell lasci intendere,
l' “epidemia galoppante” di malattie mentali non è dovuta ad una pseudo crisi, la cui esistenza
è dovuta alla scoperta degli psicotropi negli anni '50. Gli americani non sono sovratrattati
per queste malattie: secondo l'Istituto Nazionale di Salute mentale (NIH), infatti, solamente
il 36% delle persone colpite da malattie mentali domandano e ricevono trattamento. Ciò è
particolarmente preoccupante anche per la dimostrata efficacia crescente dei trattamenti
biopsicosociali completi; efficacia comparabile, se non superiore, di quella osservata per
numerose altre malattie, come le patologie cardiache o il diabete.
Inoltre, aggiunge Oldham, “anche se si è constatato che gli psicotropi modificano l'equilibrio
dei neurotrasmettitori, non c'è alcun consenso, nella comunità scientifica, sul fatto di sapere se
questi squilibri siano dei sintomi o delle cause delle patologie mentali. L'essenziale, è che questi
medicinali alleviano spesso le sofferenze dei pazienti, ragione per cui i medici le prescrivono.
Questo non significa che le malattie mentali siano state inventate al fine di creare un mercato
per gli psicotropi. I disturbi che questi medicinali (ed altre terapie) trattano esistono dalla notte
dei tempi. Ma oggi, i progressi medici e terapeutici permettono di apportare un aiuto reale a
coloro che soffrono dei loro effetti devastatori.


Daniel Carlat - Unhinged
Psichiatra a Boston
Qual è l'influenza reale dell'industria farmaceutica?
La posizione dello psichiatra Daniel Carlat, nonostante tutto, non si può considerare alla stregua
di quelle di Kirsch e Whitaker: egli infatti, come anche approfondiremo più avanti, considera
l'utilizzo degli psicofarmaci globalmente utile per la clinica: la sua critica si rivolge piuttosto sia
al sovrautilizzo spesso inconsapevole degli stessi, sia ai grandi interessi farmaceutici che ne
falsano la letteratura.
Carlat considera un fatto che i laboratori, dagli anni '50 in poi, ricoprano i praticanti e gli
psichiatri (singolarmente, ma anche collettivamente) di grandi attenzioni e regali: offrono
loro sontuose cene al ristorante, grandi premi, opportunità di lavoro come “portavoce”,
sponsorizzano congressi e forniscono loro materiale “pedagogico”. In Minnesota e Vermont,
ad esempio, grazie alle Sunshine Laws (leggi di trasparenza), è emerso che gli psichiatri
percepiscono molto più denaro degli altri specialisti dalle case farmaceutiche. Le stesse
industrie sponsorizzano inoltre il congresso dell'Associazione Psichiatri Americani: la stessa
APA responsabile della redazione del DSM, il Manuale Diagnostico tanto contestato per
l'approccio troppo meccanicista, nosografico e farmacologico, e per l'abbassamento delle
soglie cut-off (ovvero le soglie tra normalità e patologia) delle ultime edizioni; abbassamento
che ovviamente ha innalzato notevolmente il numero di individui considerati “malati”. Le case
farmaceutiche si sono sempre mostrate, inoltre, desiderose di attirarsi i favori dei leader di
opinione del settore: scienziati e professori particolarmente autorevoli, le cui opinioni incidono
sulla pratica psichiatrica mainstream. Ad esempio, dei 170 contribuenti all'ultima edizione del
DSM (tutti considerati dei leader d'opinione), ben 95 intrattengono rapporti finanziari ricorrenti e
significativi con le industrie farmaceutiche: in particolare, tra questi 95 sono sovrarappresentati
i contribuenti delle sezioni sui disturbi dell'umore e sulla schizofrenia. Non è un caso, ci dice
Carlat: “gli psichiatri arrivano sistematiamente in testa alle classifiche tra specialisti quando
si tratta di accettare soldi dai laboratori: questo perchè le nostre diagnosi sono soggettive ed
estensibili, e abbiamo pochi motivi razionali per scegliere un trattamento piuttosto che un altro”.
Questo permette l'estensione dei criteri diagnostici, se non la creazione, addirittura, di nuove
patologie secondo modalità che sarebbero impossibili, ad esempio, in cardiologia. Le industrie,
inoltre, finanziano anche associazioni civili di sensibilizzazione e organismi di informazione
e formazione. “In breve – scrive Carlat – un punto di svolta influente si è manifestato negli
anni 1980, con l'obiettivo specifico di informare il pubblico che le malattie mentali non erano
altro che malattie del cervello. Le compagnie farmaceutiche hanno fornito i mezzi finanziari.
L'APA e gli psichiatri delle grandi università di medicina conferivano una legittimità intellettuale
all'impresa. Le autorità di controllo gli davano il timbro ufficiale del governo, e le associazioni
civili un'autorità morale”.
“I pazienti considerano spesso gli psichiatri come esperti in neurotrasmettitori, che possono
scegliere precisamente la prescrizione giusta per lo squilibrio chimico in corso. Questa opinione
decisamente troppo lusinghiera delle nostre capacità è stata incoraggiata dai laboratori, da noi
stessi psichiatri e, infine, dalla ben comprensibile speranza di guarigione dei malati.”
Il problema sta anche, secondo Carlat, nelle modalità di diagnosi: limitandoci ai criteri
sintomatologici del DSM, dice, “abbiamo solo l'illusione di comprendere i nostri malati, mentre
non facciamo altro che limitarci ad accollare loro delle etichette”.
Spesso, inoltre, i pazienti soddisfano i criteri diagnostici di più di una patologia; altre volte per
nessuna – pur manifestando evidente disagio e bisogno di aiuto. Ad esempio la difficoltà di
concentrazione è un criterio per diagnosticare numerose patologie; può capitare che alcuni
pazienti possano così ritrovarsi con sette diagnosi differenti: “Noi copriamo sintomi specifici con
i trattamenti, e aggiungiamo sopra di questi altri medicamenti per gli effetti collaterali dei primi:
un paziente tipo, ad esempio, potrebbe prendere le Seropam per la depressione, del Lexomil
per le crisi di angoscia, del Stilnox per l'insonnia, del Modiodal per la fatica (effetto secondario
del Seropam), e del Viagra per l'impotenza (altro effetto secondario del Seropam).
Carlat sostiene inoltre che “non esiste che una manciata di categorie generiche di psicotropi”,
all'interno della quale i medicinali non differiscono molto l'uno dall'altro: “Le nostre decisioni
di prescrizione sono molto soggettive, se non aleatorie. Il vostro psichiatra potrebbe
essere dell'umore di prescrivervi del Seroplex questa mattina, magari, perchè un'accorta
rappresentante della casa produttrice del Seroplex è appena uscita dal suo ufficio. […] Questa
è la psicofarmacologia moderna. Unicamente guidati dai sintomi, tentiamo differenti medicinali,
senza realmente comprendere nè cosa tentiamo di guarire, né il modo in cui queste sostanze
funzionino. Sono costantemente stupito del fatto che riusciamo ad essere efficaci con un gran
numero di pazienti.”
Carlat, come già accennato, infatti considera globalmente efficaci questi rimedi, fondandosi
prevalentemente sulle testimonianze dei suoi pazienti. Ciò che disapprova è il loro sovrautilizzo
e la “frenesia della diagnostica psichiatrica”.



Psicofarmaci Diagnosi facili e tante pillole così cambia la cura, il parere di Paolo Cioni 
Ma ci resterà qualcuno di normale?: è la reazione di Til Wykes, psichiatra del King' s College
London, alla lettura delle bozze del nuovo Dsm-V che detterà
ai medici di tutto il mondo i criteri per le diagnosi e il trattamento dei loro pazienti. La quinta
versione del Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders ( Dsm-V appunto) è attesa
per il 2013. «Ma osservando i lavori preparatori, già si capisce che i criteri per diagnosticare le
malattie mentali saranno ulteriormente allargati, dando modo ai medici di prescrivere ancora più
farmaci», commenta Paolo Cioni, ex responsabile del servizio di salute mentale nella Asl di
Firenze, attuale docente della scuola di specializzazione in Psichiatria dell'università del
capoluogo toscano. Le preoccupazioni di Cioni si concentrano sulla prescrizione di farmaci antidepressivi: «Negli Usa i casi trattati tra il 1987 e il 1997 sono triplicati. Ormai dal lettino non passa quasi più nessuno. È molto più semplice prescrivere un farmaco; ci sono anche meno rischi per i medici». Il National Center for Health Statistics americano racconta che negli Usa undici persone su cento seguono una terapia con farmaci antidepressivi (le donne sono quasi il triplo degli uomini). In Italia i dati (Rapporto Osmed 2010) sul consumo di medicinali segnalano che per ogni mille abitanti si consumano 27,2 psicotropi. Il loro uso è triplicato tra il 1988 e il 2000 (Osservasalute 2010, università Cattolica) e la maggior parte delle prescrizioni arriva dai medici di famiglia. Ma che questi farmaci restituiscano la gioia perduta è vero solo a metà: secondo l' Organizzazione mondiale della sanità l' efficacia degli antidepressivi si ferma al 60 per cento dei pazienti che li assumono regolarmente. «Il consumo di questi farmaci diventerà sempre più facile» prevede Cioni. «Il nuovo Dsm, che viene redatto dall' American Psychiatrical Association ma è adottato anche negli altri paesi, crea molta confusione sui sintomi. La normale demoralizzazione destinata a passare da sé non viene più distinta dalla depressione maggiore che invece va trattata dal medico. Nelle versioni precedenti, l' aver subito un lutto era considerato un criterio di esclusione per la diagnosi di depressione. Non c' è nulla di strano infatti nell' essere tristi dopo aver perso una persona cara. Ora invece il lutto stesso è diventato una causa di depressione».
Le bozze della nuova versione del Dsm in effetti hanno una malattia per tutti. Basta un'
arrabbiatura per cadere nel "disordine da disregolazione del temperamento". Un familiare non
torna a casa per l' ora di cena e ci si trova affetti da "moderata depressione ansiosa". Sognando
troppo si rischia una diagnosi di "sindrome da rischio psicosi". La "pandemia" delle malattie
mentali ha una causa di fondo: la mancanza di criteri oggettivi per la diagnosi. Ma per Cioni la neurofisiologia può venire incontro ai medici. «Esistono indicatori fisiologici che possono essere usati, come la misurazione dell' attività elettrodermica, che è ridotta nella depressione, le alterazioni del ritmo cardiaco e del tono simpatico, l' alterazione dell' elettroencefalogramma nel sonno o il fenomeno per cui, osservando scene spiacevoli, gli individui depressi non hanno reazioni normali come il trasalimento, che si misura tra l' altro con l' aumento del battito delle palpebre. Questi criteri vanno sicuramente approfonditi prima di essere considerati validi in assoluto. Ma hanno il vantaggio di togliere al medico la piena discrezionalità della diagnosi». Il rischio è che la depressione finisca ancora di più negli ingranaggi del marketing delle aziende farmaceutiche.
Fonte: “La Repubblica”

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